Vino – Una proposta incubata in Seed Capital Pro e attuata con AurHeos BIA, concepita e sviluppata dagli analisti M. Lanzi e G. Puddu come piattaforma che vede in cabina di regia il fondamentale apporto di validazione dell’università e il ruolo altrettanto fondamentale della comunicazione e mediazione culturale via social media
Abstract
Sdoganare l’inespresso economico che ancora permane nel settore vitivinicolo italiano parte necessariamente da un’analisi di doppio livello: analisi della peculiarità italiana e analisi dei modelli esteri che sono apprezzabilmente competitivi per il sistema vitivinicolo italiano. Per antonomasia, a livello di sistema e non solo limitandosi all’aspetto agronomo o enologico, il modello competitivo principale, con cui il settore vitivinicolo italiano deve fare i conti, è quello francese. Tale modello poggia su un radicamento storico ben preciso, i cui profili sono da tempo ben delineati e trattati in una copiosa letteratura a cui si rimanda per ogni approfondimento. Quanto all’analisi della situazione dell’Italia vitivinicola, analogamente ci limitiamo a rimandare alle numerose e precise fonti che ne documentano a livello d’analisi l’inespresso, i potenziali margini di recupero di efficienza, e gli obiettivi aggiornati alle sfide attuali. In modo molto sommario, ci limitiamo a dire di come la Francia, a cavallo tra Settecento e Ottocento, sia riuscita a realizzare un sistema di produzione e offerta fortemente organizzato in “distretti” enologici, forse prima ancora che viticoli, dotati di una specifica infrastruttura non solo di ciclo primario produttivo ma anche logistica e commerciale. Questo sistema si è preservato nel suo cuore fino ad oggi, arricchendosi nel frattempo di nuovi fondamentali apporti: valenze accademiche, risorse burocratiche e la relativa convergenza d’obiettivi e azioni da parte di produttori e tra produttori, di università e centri di ricerca e, terzo e non ultimo fattore che ancora oggi contraddistingue tale Paese, una mirata strategia politica e relative azioni su un piano internazionale. L’elemento regionalista-distrettuale, in breve, trova attenti interlocutori di sintesi nella ricerca accademica e nell’apparato centrale-politico-burocratico, con i quali ha sviluppato e tuttora sviluppa azioni sia alla fonte del ciclo (attività in campo e produzione), sia alla fine del medesimo (commercializzazione e politiche di sviluppo e protezione diretta e indiretta).
Un elemento italiano, ma non solo, su cui è interessante riflettere e che sarebbe da mettere come punto fermo è il ruolo del mercato interno. Se da un lato più voci sperano e invitano ad internazionalizzarsi, d’altro lato la capacità assorbente della produzione italiana rivolta al solo export è una illusione a livello di numeri e sistema, quando considerato come vero e principale se non unico, appunto, obiettivo. Per dimensione, le aziende vitivinicole – e non solo – italiane sono aziende caratterizzate da un’ampia distribuzione numerica e l’approccio alternativo tra mercato interno ed export è una scelta – mai fosse davvero efficace scegliere e specializzarsi in chiave alternativa – che è aperta e percorribile solo per un ristretto numero, per una ristretta quota di quanto consta in anagrafe delle aziende vitivinicole. Secondo il Censimento Agricoltura 2011 dell’Istat il settore conta 383.645 aziende vitivinicole, pari al 23,5% del totale delle aziende agricole, e si sviluppa su un totale di circa 632.000 ettari coltivati: il banale rapporto tra superficie coltivata a vite e numero di aziende vitivinicole, per quanto meramente indicativo, offre un immediato colpo d’occhio sulla consistenza e la dimensione di un’azienda vitivinicola “tipo” italiana. Questo dimensionamento e questa frammentazione hanno come contraltare nei Paesi emergenti del panorama produttivo enologico una consistenza dell’azienda “tipo” caratterizzata da ben maggiori dimensioni. Complici un numero ristretto di aziende e forti economie di scala derivanti da questa concentrazione e dimensionamento quasi industriale (rispetto ai numeri in Italia) e complici una disponibilità di territorio spesso maggiore o meno frammentata, quindi, più attigua, Paesi come il Cile, solo per citarne uno, possono “permettersi il lusso” di avere oltre l’80% delle proprie aziende vitivinicole orientate quasi unicamente all’export.
Modello francese da sempre e – figurandoselo – modello cileno degli ultimi anni sono poi ulteriormente caratterizzati da una capacità comunicativa molto efficace. Se il vino francese ha da sempre avuto la forza comunicativa della propria peculiare tradizione e una naturale vocazione allo storytelling, ad un analogo tipo di approccio comunicativo verso il mercato ha puntato il modello cileno e non solo esso. Fermo restando l’elemento (competitivo) del prezzo come driver per buona parte dei vini dei Paesi emergenti, la comunicazione secondo ogni tipo di più moderno canale ha un ruolo centrale: definire il modello francese o cileno come modelli comunicativi – ognuno con la sua storia ovviamente – non è affermazione esagerata. La comunicazione è elemento che si rivela linfa vitale non solo tra sistema produttivo e mercati bersaglio (interno e/o esterno) ma anche all’interno della stessa filiera produttiva, tra produttori e i vari stakeholder. Una comunicazione, un modello comunicativo che permea al suo interno il gruppo di lavoro composto da produttori, ricercatori e politica secondo dialettiche e ruoli precisi (comunicazione interna) e una comunicazione verso l’esterno al gruppo di lavoro, verrebbe da definire “ex work“, che crea ulteriore opportunità (comunicazione esterna e mediazione culturale) e, quindi, valore al prodotto e che “prescinde”, in un certo senso, dal contenuto della bottiglia: una comunicazione capacitante.
Una declinazione italiana di questo non è certo uno sforzo di immaginazione ardita: di fatto, più o meno sviluppato, su un piano diffuso già opera, ma l’inespresso è sul sistema, sulla sintesi, sulla capacità di renderlo metodo e piattaforma. L’Italia, da un lato, con la sua capillarità e nicchie, con le sue straordinarie biodiversità, cultivar, ecotipi, con una ricchezza che, su un piano d’ampelografia e non solo, è inarrivabile per qualsiasi altro macro-area vitivinicola produttiva. Dall’altro lato, il resto del mondo vitivinicolo cerca di colmare il vuoto derivante dalla minor ricchezza di biodiversità e si organizza più compatto a sistema nazionale. A parte i presidi straordinariamente forti e ricchi di tradizione come la Francia ma anche come la Spagna e la Grecia, i “nuovi” paesi produttori come, tra gli altri, Romania, Moldavia, Cile, Argentina, Usa, Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda, Azerbaijan e Cina, spesso si lanciano o sono costretti a lanciarsi in ricostruzioni (e campagne di comunicazione…) di una filiera storica, legittimante sul mercato, assai fantasiosa.
LA PIATTAFORMA COMUNICATIVA CAPACITANTE – INTRODUZIONE
Parliamo, quindi, di un approccio che ha dato merito e risalto a un patrimonio di ecotipo e di biodiversità ben più circoscritto di quello italiano, prova evidente che nel mercato del vino il concetto di piattaforma capacitante è frutto di una rete conoscitiva e di presidio culturale che comunica quanto la terra produce e la forza vitivinicola sa vinificare.
Il concetto di piattaforma comunicativa e quindi capacitante ed efficace, che permette al sistema vitivinicolo di essere un driver commerciale di riferimento, si fonda, dunque, su quattro pilastri operativi:
- ricerca di presidio e valorizzazione in vigna e per la vigna
- gestione efficiente del ciclo economico e produttivo della vigna e dell’impresa vitivinicola
- studio chimico organolettico del vino
- presidio del mercato e della conoscenza, ossia dell’intangibile del ciclo del vino.
I quattro pilastri sono piattaforma abilitante non solo per il mercato internazionale ma anche per il mantenimento e la crescita del mercato interno, rispetto a competitor che, come i cileni o i moldavi, si sono affacciati con prepotenza ben più forte di quanto risulti ad una sommaria lettura di articoli o riviste anche specializzate. Lo sanno bene invece i buyer di catene quali Lidl o Metro, che possono permettersi di usare la leva del prezzo in un contesto che non ricerca solo e sempre la qualità ma che deve fare i conti anche con i vincoli di portafoglio familiare e relativa capacità di spesa.
I quattro pilastri, come veri pilastri, devono essere legati strutturalmente in un lavoro di carico e scarico di pesi. Il processo che vede coinvolte le quattro unità-pilastro è un processo sia in serie sia in parallelo e a valorizzazione reciproca. Così facendo si realizza un fine-tuning mirato a concrete esigenze o possibilità, validate su un piano universitario, e non un astratto esercizio di ricerca che non sa dare coerenti risposte (pessimo risultato outbound – vedere poco più avanti sul punto) e non sa creare stimolanti aspettative (pessimo risultato inbound – vedere poco più avanti sul punto).
Le quattro colonne hanno una specificità che sa renderle autonome su un piano tassonomico ma, cooperanti nella piattaforma, con essa abilitano economie di conoscenza e di scala che enfatizzano la qualità dei risultati e ne favoriscono la quantità di successi.
Ad esempio, così ingegnerizzata la piattaforma capacitante sui 4 pilastri, la base vede la possibilità di “fare cultura” vitivinicola su tutti i livelli e su tutti i soggetti che interagiscono nel ciclo di produzione e commercializzazione e, quindi, consumo del vino, ossia permette di agire proattivamente non solo su produttori, non solo su buyer ma anche sui consumatori finali.
La prima colonna lavora sul ciclo fortificando l’aspetto botanico-ecotipico. Questo fa da sostrato e humus per una comunicazione ma anche per uno studio con solide basi in cui, “parlando di vitigni“, si parli davvero di tutto il ciclo dell’uva, dalle radici al frutto e poi alla vinificazione.
All’azione di ricerca non verrebbe meno la componente divulgativo-marketing e in questa è centrale la comunicazione – e lo studio… – sull’ampelografia e tutto quanto inerisce l’ampelografia, rendendo fruibile un patrimonio immateriale conoscitivo, appunto, unico al mondo.
Il secondo pilastro avrebbe un focus ben specifico in tutti gli aspetti di ricerca nella gestione non solo e non tanto botanico-agronoma ma di management della vigna come asset produttivo su cui avere ben chiari e operativi i driver di riferimento per l’efficienza e un’efficiente gestione dell’asset e dei suoi prodotti: dalle tecniche di raccolta alla fase di vinificazione, all’imbottigliamento e allo stoccaggio e così via. Non solo, farebbe da stimolo alla possibilità di creazione di “laboratori del vino” diffusi e in economia rispetto alla difficile sostenibilità per una singola impresa vitivinicola, permettendo di fare ricerca in azienda per l’azienda e la sua rete e, ove non presente una rete, aiutando a crearla.
Il terzo pilastro avrebbe il focus dedicato alla chimica del vino ma, soprattutto, all’aspetto organolettico del vino e alle frontiere di sua espressione in botte e in bottiglia.
Il quarto pilastro sarebbe il centro di comunicazione, divulgazione e inculturamento sia outbound sia inbound, a copertura degli obiettivi e risultati dei tre pilastri precedenti e a livello di piattaforma generale: un vero e proprio snodo o valvola che abilita ad una comunicazione internazionale ma anche ad una comunicazione interna, sia come operatori sia come mercato interno. Se la chimica analizza e descrive su una base di valori numerabili e ponderabili, sulle loro interazione e legami, ecco che occorre però capire che la chimica di un Lambrusco può avere risposte diverse in palati diversi di zone diverse. Non a caso si è scritto un: esempio mirabile è la versione di Lambrusco bianco che è ben presente su mercati “insospettabili” come i paesi baltici o l’area russa (ne siamo stati testimoni oculari ad esempio in Lituania a Vilnius ma anche in Bielorussia a Minsk, sia in Gdo sia in Horeca), quando in Italia è una vinificazione pressoché sconosciuta e quasi assente dai banconi della distribuzione sia piccola sia grande.
Eppure stiamo parlando del Lambrusco, di uno dei vitigni e relativa vinificazione rossa più famosi d’Italia sia in Italia sia al mondo (Lambrusco rosso, in tutte le sue denominazioni di origine/indicazione di zona di produzione). Il quarto pilastro, in breve, opera in chiave pull comunicando la piattaforma e in chiave pull funge da catalizzatore e antenna verso i gusti che il mercato, in autonomia o secondo pressioni di altri modelli concorrenti, elabora. Presidio del mercato e della conoscenza, ossia dell’intangibile del ciclo del vino che, però, non può essere assolutamente non strutturato su piattaforme social media. Il quarto pilastro è l’intangibile e digitale verso l’intangibile del ciclo del vino: al di fuori da questo posizionamento, verrebbe meno il lavoro di efficiente posizionamento del prodotto vino e della cultura vitivinicola italiana. L’avere alle spalle l’azione validata dall’università sui tre pilastri precedenti, rende questo tipo di azione davvero unica e non viziata, a monte, da partigianeria locale, o partigianeria commerciale o da partigianeria associativa di riferimento.
Operare in proposta mirata, ossia outbound, e operare in risposta ad una aspettativa che si è voluta creare, ossia inbound, diventano non un approccio alternativo, difficile da ponderare e gestire, su cui il produttore spesso non ha tempo di cimentarsi perché ha impegni di vigna e vinificazione e preferisce le economie relazionali, ma diventano una chiave che è predisposta, strutturata e validata dalla ricerca sia privata, da parte di professionisti della comunicazione specializzata, sia, e ancor più, pubblica o inerente al mondo della ricerca e sviluppo. L’università e i centri di alta formazione hanno un ruolo abilitante che non si esaurisce solo nell’ambito in vigna o per la vigna, ma hanno ruolo fondamentale come laboratorio comunicativo e/o validazione comunicativa, cioè anche sul vino e per il vino e sul consumatore e per il consumatore, piuttosto che sul territorio e per il territorio. La miglior efficacia di azione in partenariato tra esperto privato e centro di ricerca consiste in un ridondare la strategia su un piano formale ma sostanzialmente unificare un messaggio idoneo a resistere a stress di mediazione culturale e d’indagine approfondita eppure fruibile per un pubblico eterogeneo.
Questo su un piano di comunicazione verso l’esterno del gruppo di lavoro, ma il campo operativo del quarto pilastro è pervasivo e strutturalmente legato anche alle dinamiche interne al gruppo di lavoro.
Lo stesso pilastro, infatti, in chiave soprattutto digitale, permette la condivisione in tempo reale di una mole di dati che, se strutturati in vera e propria rete o biblioteca centralizzata, almeno per area di produzione vitivinicola, permette i trasferimenti di conoscenza tanto cari alla letteratura di economia aziendalistica: la definizione di data warehouse è in parte modaiola quanto sufficientemente descrittiva per delinearne portata di minima, anche ai fini di successiva lavorazione in chiave predittiva. La componente di ingegnerizzazione rispetto ai prodotti e processi (Product Engineering and Process Engineering), ad esempio, costituisce una dotazione importante per snellire le dinamiche interne, per renderle più performanti e con il relativo abbattimento di costi. Non solo, tale tipo di strutturazione delle informazioni, su un piano sia orizzontale sia verticale, permette la predisposizione di sistemi di supporto decisionale (Dss, Decision Support System) che coordinino gli standard interni e sappiano proporre parametri o azioni coerenti con le teoriche frontiere d’efficienza e che li commisurino all’esterno rispetto a scenari di varia natura.
Trasversalmente, comunicazione oggi significa anche presidio web, internet, e in particolare sui social media, nel senso di vera e propria organizzazione di
- comunicazione incorporata in profili o pagine, generiche o specializzate, verso il mondo “fisico” e quanto di questo si proietta su internet (outbound),
- ascolto e ricezione delle tendenze dal mondo, spesso agendo come stimolo che orienti la platea a porsi domande a cui si è preparati e pronti a dare risposta (inbound)
- adeguamento a benchmark e stress test in chiave sia analitica sia predittiva.
Il più che storico e tradizionale settore vitivinicolo non può prescindere dai vantaggi che il web e i social media mettono a disposizione, quindi, non solo come meri centri di destinazione di in azioni marketing ma, e soprattutto, in quanto veri e propri sofisticati eppure accessibili sistemi di acquisizione d’informazione a basso costo (se ben maneggiati). Se strutturato all’interno di una piattaforma come da modello, se la sua gestione formale e sostanziale, ossia l’architettura informatica e la produzione di contenuti, è validata dai centri di ricerca e supportata dalle altre colonne della piattaforma medesima, i benefici sono di assoluto rilievo: oltre che ridondarne la potenza d’azione, la piattaforma si trova “capacitata” verso l’abbattimento dei costi e la maggior integrazione a sistema.
In tal modo, “capacitata” come presidio del mercato e della conoscenza, ossia dell’intangibile del ciclo del vino, la piattaforma diventa a sua volta capacitante. Così strutturata, quindi, secondo tassonomie, funzionalità e obiettivi tipici del concetto contemporaneo di comunicazione, sia come presidio Ict (Information and Communications Technology) sia come presidio di contenuti del ciclo ascolto-elaborazione-produzione-diffusione (Content Management), il modello-piattaforma capacitante per il presidio e la valorizzazione della produzione vitivinicola nazionale è un modello di convergenza di eccellenze che non può, dati i modelli esteri, non trovare positivo riscontro in Italia e non trovare interlocutori in imprese o reti di impresa, in centri di ricerca universitaria e di alta formazione e, non ultimo, in amministrazioni politiche e relativi endorsement. Il sistema virtuoso consortile e i disciplinari sono elementi assolutamente fondamentali e imprescindibili ma il prezzo di un mancato adeguamento verso il modello-piattaforma capacitante, come qua sommariamente illustrata, consoliderà a definitive le immagini di bottiglie di vini italiani mal posizionate sugli scaffali della distribuzione, non solo e non più solo internazionale ma anche italiana. Ovviamente, i grandi marchi, i grandi nomi italiani avranno il posto assicurato tra gli scaffali nei piani dedicati ai vini di alta gamma, ben assicurati dalla protezione di vetri e chiusure; il problema sarà per tutti gli altri vini, non meno nobili, posizionati magari nello stesso ripiano dei vini dei competitor cileni, senza alcun timor reverenziale come forse ci si aspetterebbe a buon titolo davanti al Made in Italy, soprattutto se vitivinicolo.